Don Sante Nespeca, prete partigiano
Don Sante Nespeca nasce a Castorano il 2 dicembre 1912.
Compie i suoi studi letterari ed ecclesiastici nel seminario di Ascoli e nel giorno del suo diaconato, l’8 novembre 1935, il vescovo Ludovico Cattaneo lo chiama all’incarico di vicerettore del seminario.
Dopo la morte del vescovo Cattaneo, avvenuta il 13 luglio dello stesso anno, il successore monsignor Ambrogio Squintani lo conferma delegato vescovile e vicario foraneo di zona Ascensione.
Nel triennio degli anni 1938-40, come vice assistente diocesano della gioventù femminile di Azione Cattolica, collabora a riorganizzare i circoli parrocchiali della diocesi.
Don Nespeca mostra subito anche il suo interesse per gli edifici di culto: ricostruisce e riapre al culto chiesa di S. Maria del Popolo a Castel di Croce e sistema i locali annessi attrezzandoli ad oratorio per la gioventù. Più notevole il restauro del fatiscente tempio di San Severino, vescovo e patrono del paese. I due edifici vengono inaugurati, insieme al nuovo oratorio ed alla nuova canonica, da Monsignor Squintani l’8 settembre 1939.
La guerra destina don Nespeca come cappellano per le artiglierie da costa nel territorio da Pescara a Senigallia. Ma, per disposizioni dall’alto, dopo soli 40 giorni il sacerdote viene dirottato nel suo feudo montano, un territorio che si sta trasformando in caserma verde perché a ridosso della montagna dell’Ascensione, con difese naturali ravvicinate al mare Adriatico.
Il ritorno alle sue zone non è dunque senza motivo. Don Sante è personaggio riconosciuto della Resistenza ascolana. L’impegno di don Nespeca si appoggia anche su precise e segrete istruzioni ricevute dalla curia vescovile in favore dei perseguitati.
Nella sua casa a Castel di Croce viene installata la postazione radiotrasmittente del colonnello Styvel e, per un certo periodo, lì si stabilisce anche il comando partigiano della “banda Paolini” (Gianmario Paolini, 24 anni, piemontese, sottotenente delle guardie di finanza) con tanto di arsenale.
Il gruppo di Castel di Croce viene subito preso di mira dalle autorità fasciste di Force e di Ascoli. La prima spedizione punitiva viene organizzata il 7 novembre del 1943. Gli scontri sono limitati ma un caporale inglese, Enrico Fischer, viene arrestato. Un primo tentativo di liberarlo è effettuato dai partigiani, guidati proprio da don Nespeca, sulla strada di Montemonaco ma non ha buon esito. Nella notte però il gruppo circonda la caserma di Force dando al maresciallo fascista un ultimatum per la liberazione del prigioniero. Cosa che avviene prima dell’alba. Fischer, messosi in salvo al sud, nei giorni successivi fa giungere un messaggio ai suoi salvatori di Castel di Croce sulla frequenza di Radio Bari: “Enrico bene arrivato. Salute prete!”.
Il momento più duro per il sacerdote è però in occasione delle spedizioni punitive nazi-fasciste a Rovetino e Castel di Croce del 9 e 12 marzo 1944. Annunciato da un messaggio portato da Ascoli da Severino Cataldi (“giorno 9, ore 9”), l’attacco non trova i partigiani impreparati. La risposta viene progettata dal tenente Paolini e da Berton alla presenza di don Sante. Dopo tre ore di combattimenti, l’attacco di Rovetino si chiude con un successo per la brillante azione degli uomini di Paolini e con il sacrificio di un solo uomo, Gino Capriotti, detto “Saltamacchia”.
Ma all’alba del 12 marzo i tedeschi, sempre guidati dai repubblichini, attaccano direttamente Castel di Croce, facendosi precedere da un intenso fuoco di mortaio. I nazisti, dopo una lunga sparatoria, conquistano il piccolo centro. Negli scontri viene ferito anche don Nespeca, per fortuna in maniera leggera.
Il sacerdote partecipa anche ad una straordinaria opera di salvataggio concretizzata in quella che poi si chiamerà “rat line”. A partire dal 25 luglio 1943 dai campi di concentramento Pow (Prisioners of war) alleati (a Sforzacosta, Monte Urano e Servigliano), ondate di ex prigionieri inglesi, americani, canadesi e francesi si riversano verso la montagna attratti da una naturale difesa: 8.600 militari, nelle notti dell’agosto, settembre e ottobre 1943, vengono inseguiti dai nazifascisti. Dalla Fontevecchia di Castel di Croce, i militari vengono accompagnati a Cupra Marittima, precisamente a Fosso S. Giuliano, dove un tempietto ricorda oggi 14 caduti. Lì, sotto la villa del Conte Vinci (fondamentale il ruolo svolto dalla contessa Andreola Vinci Gigliucci, detta Babka, e dal marito Zeno Gigliucci), il capitano Makì e il capitano Ranieri provvedono a trasportare, su canotti di gomma o barche da pesca, gli ex prigionieri sulle navi che si alternano al largo della costa. Don Nespeca è uno dei valorosi e coraggiosi accompagnatori.
Il comando Alleato, al completo, dopo la liberazione di Ascoli, avvenuta il 18 giugno 1944, si porta a Castel di Croce per onorare i partigiani e i più umili artefici di questa impresa umana. Lo stesso comando Alleato, il 2 luglio 1944, premia, con diploma e ricompense, tutte le 124 famiglie del più invidiato castello del Piceno.
Con la stessa organizzazione degli ex Pow la Chiesa ascolana si prodiga per la salvezza degli ebrei perseguitati e dispersi. Il vescovo suggerisce anche a Roma questo scampo. Il Santo Padre Pio XII, monsignor Montini, i comm. Soleti e Federici, dall’alto convogliano intere famiglie verso quei luoghi.
L’opera della Chiesa durante la guerra diventa il tema centrale dei capolavori in mosaico del Gaudenzi nella cripta della cattedrale di Ascoli Piceno, voluti dal vescovo che salvò Ascoli Piceno dai bombardamenti, monsignor Ambrogio Squintani. Nel pannello che reca a titolo “La Messa al campo”, accanto alla singolare raffigurazione dei partigiani (presenza sicuramente unica in un luogo di culto), l’artista Pietro Gaudenzi pensa di ritrarre proprio don Sante nella figura del celebrante, ma l’interessato declina l’invito: l’artista, senza ulteriori indugi, comunque lo ritrae di spalle sull’altare.
Nel 1945 il rabbino di Milano onora don Nespeca della medaglia e del diploma di Benemerenza; il sottosegretario all’Interno, nel XXV di sacerdozio, gli consegna la medaglia d’oro al merito civico.
Finita la guerra, all’unanimità i vescovi della provincia, nell’adunanza a San Benedetto del Tronto del 2 luglio 1945, lo nominano assistente dei lavoratori cristiani.
Così, di giorno quasi sempre lo si può trovare alla segreteria vescovile di monsignor Squintani ed a sera si susseguono gli incontri sociali. Motociclista spericolato con la sua Guzzi Sport da corsa, partecipa a tutti gli appuntamenti sull’Appennino o in riva all’Adriatico.
Tra i fondatori delle Acli provinciali di Ascoli Piceno, per tredici anni, dal 1945 al 1958, ne sarà l’assistente ecclesiastico.
Nel corso della sua vita don Sante incontra tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Nel marzo dell’Anno Santo 1950 don Nespeca presenta al Papa Pio XII la preziosa corona destinata all’immagine di S. Maria Assunta, venerata nell’insigne Collegiata di Offida.
Il sacerdote, in qualità di segretario del vescovo, incontra più volte in Segreteria di Stato monsignor Montini, il futuro Paolo VI, per le pratiche diocesane. Ma non può dimenticare l’incontro della “Topolino verde”: in direzione di Anticoli Corrado, sull’Aniene, la “Topolino A” di don Nespeca trasporta monsignor Squintani, il reverendo abbate del Sacro Speco e proprio monsignor Giovanni Battista Montini che vanno a fare visita al pittore Pietro Gaudenzi.
Il “segretarione” della Topolino verde sarà ricevuto, più volte, dall’arcivescovo di Milano, spesso a difesa di monsignor Squintani, in difficoltà nella sua diocesi. Misterioso rimane il colloquio del 23 dicembre 1958, “nella mattinata piovosa e scomoda” susseguente il rientro a Milano del neo-cardinale. Di quel momento don Nespeca afferma: “Non si chiudono le porte al sole!”.
Nell’agosto del 1963, a Castel Gandolfo, alla prima solenne udienza papale, don Sante vive un episodio da libro Cuore. Appena Papa Montini varca l’uscita li riconosce sparsi sul prato: un abbraccio a don Nespeca e “tanto affetto per il grappolo dei felici montanari di Castel di Croce”.
Praticamente nulla, invece, don Sante fa sapere sulla udienza con Paolo VI, alle ore 10.30 del 16 aprile 1964. Dopo l’abbraccio del 1958 a Milano, il Papa dice al sacerdote: “Quanta umanità nelle nostre povere cose… si consideri intanto nostro prelato domestico…si faccia vedere!”.
Come abbiamo già accennato, notevole è l’opera di don Sante Nespeca anche nel recupero degli edifici di culto. Gli eventi bellici e le crudeli invernate del 1943 e 1944, costringono don Nespeca ai lavori necessari della chiesa-santuario e parrocchiale in onore di San Severino e della Beata Maria Assunta Pallotta, oriunda di Castel di Croce.
Nel contempo, dall’archivio parrocchiale don Sante ricostruisce, pagina per pagina, la storia documentata della Santa. Il santuario e la breve storia divengono care a Pio XII. Il Papa offre contributi per l’altare e la torre e nel Rescritto Pontificio fa riferimento alle notizie storiche di don Nespeca.
Nel primo centenario della nascita, il 20 agosto 1978, può essere celebrato il santuario che la Beata Pallotta deve al soldo dei poveri, all’arte impareggiabile dell’architetto Vincenzo Pilotti e del professor Pietro Gaudenzi.
Nel quartiere Luciani, ad Ascoli Piceno, Maria Goretti, nella grandezza del suo martirio, viene onorata di un tempio. Il sacerdote per due anni, nel 1956 e 1957, è il parroco e il costruttore: il progetto è dell’architetto Dante Bassotti. Perla nascosta della nascente parrocchia è la figura di Sandro Serenelli, l’uccisore pentito di santa Maria Goretti. Per tre giorni consecutivi, il 2, 3 e 4 luglio del 1956, don Nespeca, con la sua Fiat Seicento, dal convento dei cappuccini porta l’anziano Serenelli al quartiere Luciani: lì, con umiltà e devozione, Serenelli scava le prime fondazione della nuova chiesa.
Don Sante si trasferisce a Roma nel 1964. Viene nominato beneficiario della basilica liberiana di Santa Maria Maggiore, dove per un ventennio presta servizio liturgico e pastorale.
Nella capitale il sacerdote segue i giovani della Pineta Sacchetti dove, come insegnante di cultura religiosa, organizza anche incontri extrascolastici con film e seminari, affidati a professori dell’università Cattolica del S. Cuore, come da programmi della “Sabbatina”, da lui fondata e animata come assistente.
Ma, sempre, ritorna la sua “vocazione” alle costruzioni. Anche a Monterotondo e a Torlupara (Roma) sorgono gemelle due chiese e nuove parrocchie: “Gesù Divino Operario” e “Gesù Divino Maestro” su invito e mandato del cardinale Marcello Mimmi.
Per comprendere appieno il vissuto del “Segretarione” appassionato e trasparente, valgano i suoi lavori: “Rime Vive”, “Cieli Nuovi”, “Il Frantoio”, “Benedetto!”, “Un grande e Santo Vescovo” e “Le grandi Riforme di S. Pio X e un Prelato Ascolano”. Non ha visto mai la luce, invece, il più volte annunciato “Quello che Ascoli non sa”: avrebbe dovuto contenere anche la testimonianza diretta del salvataggio di Ascoli Piceno dai bombardamenti e, soprattutto, dell’incontro nel gennaio del 1944 tra il vescovo Squintani e il Federmaresciallo Kesserling. Incontro, sicuramente storico, a cui don Sante, e solo lui, accenna nel testo di “notizie storiche” sul vescovo cremonese pubblicato nel 1983.
Questo avvenimento, che tanta parte potrebbe aver avuto per la sorte della città ma anche per il destino del presule, fu ritratto, secondo la testimonianza diretta del sacerdote, da Pietro Gaudenzi in un cartone da destinare ai mosaici del Duomo (“Incontro del Vescovo e del Generale Kesserling nel Battistero”) ma non fu collocato “per gravi motivi”.
Don Sante muore a Roma il 23 dicembre 1986. Le sue spoglie sono a lungo state poste, come da sue volontà testamentarie, nel piccolo cimitero di Castel di Croce: “Ritorno per il vero riposo e per la mia attesa cristiana tra i miei battezzati. Qui i libellisti non potranno più aggredire e il sacrilegio della verità si fermerà a loro condanna. Dove Dio ha parlato l’uomo tace. Ritorno così per aspettare, dalla fossa ricolma, il passo di qualcuno. Ho chiamato otto sacerdoti all’Altare e tra questi un missionario. Li riconoscerò, lo credo davvero, da un murmure stupendo: forse il rosario per don Sante”.
Il 10 giugno 2018, su iniziativa del Circolo Acli “Achille Grandi” di Ascoli Piceno, il Comune di Rotella ha intitolato al sacerdote il belvedere di Castel di Croce, lo spazio che ospita anche il monumento ai caduti della Resistenza che proprio don Nespeca volle fosse realizzato.
Qualche mese dopo le spoglie di don Sante sono state traslate all’interno della Chiesa di San Severino.